La doppia tragedia di Sara e Stefano, il fallimento del sistema

Redazione
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Stefano Argentino era in carcere con l'accusa di aver ucciso Sara Campanella, in quello che è stato definito un femminicidio.
La morte di Stefano in carcere solleva diverse questioni, che non si limitano al solo contesto del reato commesso.
Da un lato, c'è il dolore della famiglia di Sara Campanella che, dopo aver perso la figlia, si trova di fronte a un epilogo che impedisce lo svolgimento di un processo e l'accertamento definitivo delle responsabilità; c’è il dolore di una madre che aveva assicurato il proprio figlio alla Giustizia.
Dall'altro, la sua morte per suicidio all'interno di un Istituto penitenziario spinge a interrogarci sulle condizioni carcerarie in generale, a chiederci se il sistema è in grado di prendersi cura della salute mentale dei detenuti, e se l'obiettivo di rieducazione e reinserimento sociale, sancito dalla Costituzione, venga davvero perseguito.
La tragedia di Sara e quella di Stefano, pur su piani diversi, mettono in luce le falle di un sistema che non riesce a prevenire la violenza e, in seguito, a gestire il dolore e la disperazione, sia delle vittime che dei carnefici.
Non si tratta di giustificare il reato, né di avere compassione per l'assassino, ma di analizzare il contesto in cui queste tragedie maturano, per cercare di evitarne di nuove, e su diversi fronti.

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