Cinquanta anni dall'uscita di Scritti Corsari: l'eredità profetica di Pasolini

Redazione
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Correva l'anno 1975, un anno carico di tensioni e trasformazioni per l'Italia, quando Einaudi dava alle stampe una raccolta di articoli destinati a scuotere le coscienze e a incidere profondamente nel dibattito culturale del paese, si tratta di Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini.

A cinquant'anni esatti dalla pubblicazione, rileggere queste pagine non è un semplice esercizio di archeologia letteraria, ma un confronto bruciante con questioni che, lungi dall'essere risolte, sembrano oggi più urgenti e attuali che mai.
Scritti corsari non è un libro nel senso tradizionale del termine. È piuttosto una detonazione di pensieri, un florilegio di interventi pubblicati principalmente sul Corriere della Sera tra il 1973 e il 1975, anni nei quali Pasolini, con la lucidità profetica e la sferzante polemica che gli erano proprie, analizzava il declino di un'Italia contadina e pre-industriale e l'avvento di una nuova forma di potere: quella del neocapitalismo e della società dei consumi.
Il cuore pulsante di questi scritti è la denuncia della mutazione antropologica che Pasolini percepiva con terrore. Non era solo un cambiamento di costume ma una vera e propria omologazione, una standardizzazione dei desideri e dei linguaggi imposta da un potere invisibile e pervasivo.
La televisione, il consumismo sfrenato, la perdita delle specificità regionali e dialettali: tutto confluiva in un processo di appiattimento che Pasolini leggeva come una distruzione della cultura popolare e l'instaurazione di un nuovo totalitarismo, ben più subdolo e pervasivo di quelli tradizionali.
Rileggendo oggi  Scritti corsari, ciò che colpisce è la loro incredibile attualità. Pasolini intuì con decenni di anticipo fenomeni che oggi viviamo pienamente: la spettacolarizzazione della politica, la crisi dell'istruzione, l'impoverimento del linguaggio, la mercificazione di ogni aspetto dell'esistenza. La sua critica alla volgarità e all'omologazione risuona potente in un'epoca dominata dai social media e dalla superficialità dilagante.
Il corsaro Pasolini non era un nostalgico reazionario, come a volte è stato etichettato. Era un intellettuale scomodo, un critico radicale che, pur non proponendo soluzioni facili, invitava a una resistenza etica e culturale. La sua disperata vitalità, come amava definirla, si traduceva in una costante interrogazione sul senso delle cose, sulla perdita di sacralità e di autenticità in un mondo sempre più secolarizzato e materialista.
Scritti corsari resta un testo imprescindibile per chiunque voglia comprendere le radici di molte delle crisi contemporanee. Non è un libro che offre risposte consolatorie, piuttosto pone domande scomode, spingendo il lettore a una riflessione critica sul proprio tempo e sul proprio ruolo.
La sua prosa, spesso provocatoria e aspra, è un grido di allarme che ancora oggi risuona.
Pasolini ci ha lasciato in eredità la capacità di guardare oltre le apparenze, di smascherare le logiche del potere e di difendere, strenuamente, la diversità e l'autenticità. In un'epoca che rischia costantemente di dimenticare la propria storia e di appiattirsi sul presente, gli Scritti corsari sono un faro, un promemoria inquietante e necessario di quanto la vigilanza intellettuale e la critica radicale siano ancora strumenti fondamentali per abitare il mondo con consapevolezza.
Riscoprire oggi questo testo significa non solo onorare la memoria di uno dei più grandi intellettuali del Novecento italiano, ma anche e soprattutto raccogliere la sua sfida: quella di non rassegnarsi all'omologazione, di coltivare il pensiero critico e di cercare, con la stessa indomita passione di Pasolini, una diversità che possa ancora nutrire e salvare il futuro.

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